PRISONERS - PRIGIONIERI
Un film di Denis Villeneuve, con Hugh Jackman, Jake
Gyllenhaal, Viola Davis, Maria Bello
Dott.ssa Giorgia Aloisio
Dott.ssa Giorgia Aloisio
Un pomeriggio d’inverno, in una sonnolenta cittadina
americana, due bambine, una bianca, l’altra nera, escono a giocare insieme
nel giardino di casa: a breve, le due compagne di gioco si volatilizzano. Delle due bimbe
si perde ogni traccia, nella disperazione più completa dei quattro genitori: la
madre (Bello) di Anna, la bambina bianca, scoraggiata, addormenta i sensi ingerendo psicofarmaci e si chiude in un doloroso, straziante silenzio psichico, il
marito (Jackman), invece, inizia a seguire le indagini del poliziotto che ha
preso in carico il caso (Gyllenhaal) e si trasforma in una sorta di suo
persecutore che, diffidando dell’operosità apparentemente senza risultati dell’agente, inizia a compiere
azioni al di fuori della legalità, nel tentativo di ristabilire una qualche forma di giustizia personale. Tra le due coppie di genitori sconvolti dalla grave perdita
sorgono dinamiche che alternano alleanza a rabbia furiosa, competizione,
conflitto, isolamento. Intorno a queste due famiglie spuntano fuori altri
personaggi apparentemente secondari che hanno alle spalle storie familiari
inaspettatamente sconvolgenti e che vengono, volente o nolente, a collegarsi alla vicenda delle bambine perdute. La furibonda ricerca del padre di Anna è tenuta in vita
dall’incrollabile certezza del genitore: sua figlia non è morta.
L’adrenalina sale gradualmente durante la visione del film:
lo spettatore viene letteralmente sommerso da lente ma inesorabili ondate d’angoscia, che a volte lo fanno sentire complice dei genitori, altre volte
generano distanza e disprezzo verso di loro, fino ad arrivare a deciso rifiuto
e sdegnata incredulità. La speranza che le bambine siano superstiti a volte si
affievolisce, a tratti sembra del tutto scomparire, in altri momenti appare l’unica
certezza. Dopo circa la metà del film, la fantasia dello spettatore si spinge
fino a scenari da film dell’orrore, con conseguenti esperienze emotive intense e
decisamente spiacevoli. Eppure, nonostante tutta questa sgradevolezza, un film
come questo ci appassiona: anzi, è proprio grazie a queste emozioni se ci interessiamo
alla trama della pellicola.
Essere prigionieri (così come ci ricorda il titolo del film, Prisoners)
e rendere prigioniero l’altro rappresentano due facce della stessa medaglia, il
prevalere di una delle due polarità si alterna incessantemente in numerose
situazioni della vita di ognuno di noi. Il flusso di emozioni, nella visione del film, passa da persona
in persona e coinvolge tutti: dai genitori disperati all’agente pronto a mettere a rischio anche la propria pelle, fino allo spettatore. L’esperienza estetica (guardare un quadro, un film, una statua, ascoltare una sinfonia), come
ci insegnano numerosi pensatori e artisti contemporanei, è un modo che ci permette di vivere
sensazioni di tutti i giorni ma in un’altra dimensione, o anche una modalità
per sperimentare emozioni che non abbiamo ancora vissuto ma che in qualche
maniera troviamo attraenti.
Quante volte, nelle nostre giornate, siamo ‘prigionieri’
degli altri? Pensiamo a tanti episodi in cui ci siamo sentiti come ‘incollati
come mosche alla carta moschicida’, avendo a che fare, per esempio, con la
farraginosa burocrazia italiana, con gli istituti sanitari, la ricerca del
lavoro, il tentativo di conciliare conflitti personali o di difenderci da
estranei molesti…e molto altro ancora. È proprio alla luce di tutto questo
nostro bagaglio emozionale che rimaniamo ammaliati da un film dai toni intensi
e angoscianti come quelli che ci propone Prisoners,
una storia che, in fondo, ci mette a contatto con la precarietà, la fragilità,
il senso di pericolo, l’angoscia di soccombere, emozioni alle quali tutti noi
siamo esposti, quasi ogni giorno e alle reazioni, normali o folli,
che tutto questo sentire può generare all’interno di un individuo.
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