domenica 23 febbraio 2014

L’inconscio in bocca e altre storie.

Dott.ssa Giorgia Aloisio

- Oggi il treno è stato depresso…
- Depresso?? Volevi dire soppresso

- Mia moglie è andata via…
- Di casa??? 
- No, ma che hai capito!!!

Quante volte, nella vita di tutti i giorni, capitano - a noi e agli altri - episodi di questo genere? Una specie di ‘black-out’, un ‘buco nero’ inatteso e a volte imbarazzante, nella nostra quotidianità spesso così uguale a se stessa: basta un momento di distrazione e il gioco è fatto…  l’inconscio fa sentire la propria voce nella nostra esistenza. 
Dimentichiamo un oggetto nella carrozza del treno dal quale siamo appena scesi, acquistiamo un prodotto in un negozio e lo abbandoniamo prontamente nello stesso posto dove lo abbiamo comprato, ci passa completamente dalla memoria quel compleanno o quell'anniversario che sembravano così cruciali nelle nostre vite. Cosa succede? Di cosa si tratta? Demenza improvvisa? Momento di follia?

Tanto per cominciare, non c’è proprio nulla da allarmarsi: i lapsus linguae, gli atti mancati, le dimenticanze, sono fenomeni assolutamente universali e normali (certo, quando non accadono di continuo), anzi, a volte sono meccanismi di sopravvivenza per le nostre menti sovraccariche e stressate. Sono eventi normali, noti da sempre, sui quali si è molto soffermato a riflettere Sigmund Freud in alcuni celebri saggi (per chi fosse interessato, davvero spassosi e di agevole lettura) quali ad esempio Psicopatologia della vita quotidiana.



Si tratta di modalità automatiche, inconsapevoli attraverso le quali la parte più insondabile della psiche trova una sorta di ‘valvola di sfogo’. In questo modo, la nostra mente tira fuori contenuti che non le è possibile reprimere (o non lo è più). Spesso ci capita di essere a disagio, di sentirci infastiditi o magari rabbiosi nei confronti di situazioni (come ad esempio in certe dinamiche lavorative o familiari) o persone (i nostri ‘capi’ o anche i nostri sottoposti, i figli, i genitori): non sempre è possibile mostrare all'esterno i nostri stati d’animo, anzi, direi che buona parte delle nostre impressioni ed emozioni resta in qualche modo sopita, perché negoziazione e accettazione sono ingredienti indispensabili per un buon adattamento sociale, ma senza esagerare. Non sempre ci è possibile reprimere tutto, in particolare quando il carico di pressioni si fa troppo pesante: in questi casi la mente, per stare meglio, si libera di questo scomodo materiale e lo espelle. Una psiche un po’ birichina, che ci fa qualche scherzetto che ci saremmo volentieri risparmiati, se solo avessimo potuto.



Spesso, dopo un lapsus o una dimenticanza, ci sentiamo imbarazzati, specie quando ci sono di mezzo altri individui: torniamo per un momento a quella volta nella quale pensavamo di aver inviato un SMS critico ad una persona e ci siamo accorti, invece, di averlo mandato proprio al soggetto che avevamo appena criticato… avremmo preferito celare certi pensieri o affetti, ma così non è stato e l’imbarazzo, la vergogna, il senso di colpa sono le sensazioni più normali a seguito di questi piccoli o grandi ‘incidenti’. In realtà, dopo un po’ di tempo, ci accorgiamo di provare come una sensazione di benessere, piacere, leggerezza, come se qualcosa di annodato si fosse improvvisamente sciolto e le emozioni sgradevoli del passato risultassero silenziate, a volte completamente sparite: tutto merito di quella frasetta scomoda, quella parolina partita come da un nostro stato di ‘trance ipnotica’. 

Prima di mal giudicare un atto mancato, un lapsus, una dimenticanza, rispettiamolo e fermiamoci a riflettere: quali sono state le cause dell’atto? Quali le conseguenze? Covavamo astio verso una persona che abbiamo sempre trattato con eccessiva reverenza, anche con ipocrisia e troppe inutili smancerie? Forse sarebbe stato meglio essere più sobri e sinceri: a volte basta così poco per stare bene e l’esistenza, è proprio vero, ce la complichiamo anche da soli, … 
Quel ‘black-out’ ci invia un messaggio importante, che in precedenza non avevamo voluto ascoltare e che ora si impone con tanta determinatezza, quasi fosse autonomo da noi: proviamo ad ascoltarci di più e saremo meno preda di questi scherzetti. Imparare dall'esperienza è un modo utile per conoscerci e relazionarci agli altri: guardiamoci e proviamo a sorriderci più spesso, se possibile.

Sbaràzzati del malcontento sul tuo essere, perdònati il tuo io, giacché in ogni caso hai in te una scala dai cento gradini sulla quale puoi salire verso la conoscenza.
F. Nietzsche, Umano troppo umano


venerdì 14 febbraio 2014

Lo sapevate che il Paziente è una Persona?

Dott.ssa Alessandra Paladino

Vi è mai capitato di sperimentare una permanenza in ospedale?


Beh, qualche tempo fa, grazie ad un incidente, anch’io ho avuto il “piacere” di ritrovarmi dapprima in ambulanza, poi al pronto soccorso e per finire in bellezza ricoverata in due diversi reparti a distanza di pochi giorni.
Come è stato? …Direi traumatico!!!
Certo, chi gradirebbe un soggiorno in ospedale?!!!
Il viaggio è iniziato con una grande razionalità e freddezza: avevo bisogno di difendermi e capire cosa mi era successo, cosa mi avrebbero fatto i dottori e quale era la diagnosi.
Appurato che non ero in pericolo di vita le difese hanno ceduto il passo allo spavento che fino a quel momento ero riuscita a controllare. Ancora stordita e frastornata ho realizzato che non era un incubo (come speravo e desideravo) bensì la realtà: ero in un letto d’ospedale, consapevole delle conseguenze dell’incidente ma ignoravo ancora una condizione: ora, ero una “paziente”!!!
Accedere in ospedale implica un cambiamento di status: da persona a paziente …ed io avevo sottovalutato questo passaggio.
Quando ho realizzato la mia nuova condizione e ciò che ne conseguiva ho iniziato a pormi una serie di domande che desidero condividere con voi miei cari lettori.
Mi sono chiesta: ma il paziente non è una persona? …Una persona con bisogni fisici e psichici accentuati ed alterati da una nuova condizione traumatica (malattia o incidente)? Un paziente non ha forse bisogno di essere accolto, accudito, ascoltato e rispettato nella sua dignità di essere umano?
È così difficile prendersi cura dell’altro nella sua totalità? La relazione d’aiuto non dovrebbe guidare ed ispirare coloro che lavorano in ambito sanitario?


Se tutto ciò è legittimo allora perché ancora oggi c’è una grande fetta di professionisti (si fa per dire!) che lo dimentica?
È così impegnativo sorridere ad un paziente? È davvero così difficile accoglierlo con delicatezza, prendersene cura con gentilezza ed accompagnarlo con empatia nel già tanto doloroso percorso di malattia? …Insomma, aiutare l’altro è così arduo?


Durante la mia permanenza in ospedale ho avuto modo di riflettere molto su quest’argomento e sono giunta ad una triste considerazione: molti dottori, infermieri e tecnici di laboratori forse hanno dimenticato di lavorare con persone che soffrono e che hanno bisogno del loro rispetto e della loro gentilezza oltre che della loro professionalità.
In molte occasioni mi è sembrato che il paziente rappresentasse il capro espiatorio perfetto: provato fisicamente ed emotivamente, bisognoso, remissivo, timoroso e troppo dolorante e spaventato per reagire.  Insomma la vittima ideale per un medico nervoso o un infermiere rabbioso per ragioni personali o comunque non riconducibili in alcun modo al paziente.
Forse, se imparassero ad ascoltare i pazienti imparerebbero a diventare delle persone migliori e di conseguenza dei professionisti migliori.
Per fortuna ci sono anche medici e infermieri capaci di farlo a priori!!!  

mercoledì 12 febbraio 2014

Ci pensa … Rocco? Quando il porno diventa psico.



Qualche venerdì fa, su 'Cielo' intorno alle 23, mi sono imbattuta in Ci pensa Rocco: in questa trasmissione televisiva, il più celebre tra i re dell'hard, Rocco Siffredi, corre in soccorso di coppie a bassa prestazione sessuale che vorrebbero ritrovare il vigore del passato. Tra incredulità e curiosità, io stessa ho ceduto alle lusinghe di Rocco e mi sono lasciata andare alla puntata. Devo ammettere che non ho perso mai la concentrazione; in alcuni momenti mi sono persino divertita. Stimo Siffredi per la sua autoironia e il coraggio di mettersi alla prova in ruoli diversi da quelli che lo hanno caratterizzato nel passato.



Cosa dire della trasmissione? Quando fino a non molto tempo fa si pensava a Rocco Siffredi, il riferimento era sempre e solo al mondo della pornografia: oggi che ha cinquant'anni, lo stallone nostrano - dal nitrito un po' grave e non più puledro di primo pelo, con tanto di occhialetti stilosi da intellettuale, camicia bianca e papillon - ha dismesso i panni del voglioso, irresistibile rapace, per vestire quelli del bizzarro, insolito e un po' scialbo (psico)terapeuta. Tra 'strip-running' (rocamboleschi smutandamenti in corsa) e 'body-food' (abbuffate in osteria sul corpo discinto del partner), consigli su nuove posizioni per fare sesso (conoscete la 'posizione del castoro'?), giochi di ruolo casarecci e roghi a base di biancheria intima adatta a vostra nonna, Rocco diventa nume tutelare della coppia in crisi, sarcasticamente profeta, come lo vediamo nella pubblicità di questa trasmissione televisiva durante la quale evoca frasi di personaggi del mondo fantasy o di celebri pellicole (http://www.youtube.com/watch?v=-HuLL-72YlQ), una guida per fidanzati già sgangherati o coniugi ormai afflosciati. 



Tra frasi fatte, consigli plastificati, oroscopi pecorecci, domande indiscrete, il nostro eroe si destreggia dall'alto della sua poltrona professorale e ammaestra gli imbranati e increduli allievi che, certo, non hanno che da imparare dall'erudito titolare di cattedra. Una bella spolverata di pepe in più … e la coppia è magicamente ricomposta!



Se solo fosse vero. Se fosse così semplice risolvere i problemi esclusivamente dal lato della loro patina più esterna e superficiale! Non è certo colpa di Rocco: il qualunquismo mediatico e il devastante ma imperante relativismo culturale portano a banalizzare i problemi dell'individuo, le sue complesse stratificazioni psicologiche e le sue innumerevoli relazioni. Problemi comuni, sicuramente di straordinaria complessità ma soluzioni purtroppo di una banalità che può solo sconcertare. L'intuito psicologico non manca di certo, in questa produzione: peccato non basti quello per risolvere i reali problemi delle persone.

domenica 12 gennaio 2014

Un buon libro per il nostro cervello.

Dott.ssa Giorgia Aloisio

Leggere libri fa bene al nostro cervello: ce lo assicura il prof. Gregory Berns della Emory University di Atlanta, già autore di una interessante ricerca sulle emozioni degli animali che vi avevamo proposto in un altro post (e che potete leggere cliccando qui).
Il dott. Berns ha reclutato 21 studenti universitari ai quali è stato chiesto di leggere un thriller di Robert Harris, 'Pompei', romanzo dalla trama avvincente che ha attirato l'attenzione dei lettori e ha facilitato la loro concentrazione. Iniziata la lettura, gli studenti sono stati sottoposti a risonanza magnetica funzionale per 19 giorni. Alla fine dell'esperimento, i dati emersi dagli esami medici non hanno dato adito a dubbi: l'attività cerebrale dei soggetti era decisamente migliorata. In particolare, gli studenti hanno dimostrato una aumentata connettività cerebrale, cioè un più intenso scambio tra aree del cervello diverse ma collegate. Miglioramenti biologici che significano più padronanza nel linguaggio (corteccia temporale sinistra), maggiore creatività, ricettività linguistica. Questa accresciuta connettività, da quanto abbiamo appreso, permane anche nei giorni successivi alla lettura.

Un invito, quindi, a tutti i nostri 'lettori': continuate a leggere! In questo modo potrete combattere al meglio l'invecchiamento cerebrale e mantenervi giovani dentro!

 

venerdì 13 dicembre 2013

E' nata la nuova sezione Psicofilm!


Non perdete la nuova pagina dedicata ai film! La trovate al link http://www.nonsolopsicologia.blogspot.it/p/psicofilm.html oppure cliccando su Psicofilm nel menù a destra.

Appena pubblicato: PRISONERS | PRIGIONIERI, trama e breve commento a cura della dott.ssa Giorgia Aloisio.

Buona lettura!

Lo Staff.

giovedì 5 dicembre 2013

Disturbi Alimentari: si ammalano sempre più adolescenti!


La Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA) delinea un quadro davvero allarmante: “due milioni di adolescenti italiani soffrono di disturbi del comportamento alimentare (DCA)”. Questo è il risultato dell’incontro nazionale che si è tenuto a Bologna nei primi giorni di questo mese. Inoltre, da una ricerca dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è emerso che le patologie di tipo anoressico e bulimico rappresentano la seconda causa di morte tra gli adolescenti, dopo gli incidenti stradali.
Dagli studi di quest’ ultimo anno è emerso come si sia abbassata notevolmente l’età di insorgenza dei problemi del comportamento alimentare: nel 40% dei casi si manifestano tra i 15 e i 19 anni ma sempre più spesso i sintomi sembrano comparire già tra gli 8 e i 12 anni. A soffrirne sono soprattutto le ragazze ma anche il numero di ragazzi affetto da tale disturbo è in aumento. Insomma: sempre più adolescenti si ammalano di disturbi del comportamento alimentare.
Indipendentemente dal sesso, in questi ragazzi si può osservare una crescente ed esagerata preoccupazione per il cibo, ossessione per il proprio peso che spesso porta a diete estreme, dispercezione corporea, eccessiva attenzione al proprio corpo, esagerata ed incontrollata attività fisica. A questi comportamenti si aggiungono poi repentini cambiamenti emotivi, irritabilità, tristezza, sentimenti di colpa e di vergogna, ipersensibilità verso qualsiasi tipo di critica, ritiro sociale e relativo isolamento. I disturbi del comportamento alimentare o disturbi alimentari psicogeni (DAP) comprendono l’anoressia nervosa, la bulimia, il binge eating (disturbo da alimentazione incontrollato) e l’obesità.
Il fattore psicologico è determinante rispetto all’eziologia di questi disturbi ma anche i fattori biologici e sociali sembrano pesare notevolmente. Non si può infatti trascurare l’influenza dell’attuale società, esageratamente centrata sull’apparire, sulla forma fisica e su modelli corporei irreali.
Tale fenomeno clinico è sottostimato, si tende a sottovalutare l’alto rischio di recidiva e la conseguente cronicizzazione del disturbo. Sono pertanto sempre più necessari interventi di prevenzione e di diagnosi precoce tesi a sensibilizzare i più giovani ad una sana alimentazione e ad uno stile alimentare corretto. Al momento, questo sembrerebbe essere l’unico modo per arrestare il vertiginoso incremento della percentuale di giovani affetti da disturbi del comportamento alimentare.

Noi, gli emo.

Dott.ssa Giorgia Aloisio



-          Ciao zi’…
-          Guarda come sei cambiata… t’avevo lasciata così… [mostra una fotografia] … e sei diventata così… Ma come sei diventata?
-          So’ diventata emo

Chi ha visto il divertente film di Carlo Verdone Io Loro e Lara (2010) sicuramente ricorderà questo spassoso 'scontro' generazionale. In realtà, dovremmo precisare che la cosiddetta ‘cultura emo’ è nata circa trent’anni prima del film, negli anni ’80, negli Stati Uniti (nello specifico, a Washington D.C.). I giovani emo (pronuncia: /ˈiːmoʊ/), ragazzi di solito tra i 15 e i 20 anni di età, si caratterizzano per i capelli corvini, più o meno lunghi, lisci e con una frangia asimmetrica davanti agli occhi, un trucco scuro tendente al nero con scarpe da ginnastica e altri accessori (che spesso raffigurano teschi o croci) dello stesso colore; un abbigliamento da ‘skater’, quindi jeans aderenti, cintura borchiata. 

Gli emo derivano il loro nome proprio dal genere musicale emo (che fa parte del punk rock) il quale, a propria volta, rappresenta l’abbreviazione del termne ‘emotional’ (emotivo). 

Bill Kaulitz dei Tokio Hotel

Appaio, dunque sono: chi è emo lo è anche nel modo di sentire, pensare, fare. Molto diffusi tra questi ragazzi sono gesti insoliti e anticonvenzionali come piangere davanti agli altri (aspetto emotivo di questa tendenza), baciare persone dello stesso sesso, procurarsi tagli con lamette da rasoio. Così come i dark e altre modalità diffuse nel mondo giovanile, anche gli emo mostrano una certa ‘attrazione’ per il macabro e il tema della morte: l’abitudine di tagliarsi o tagliuzzarsi per far uscire una certa quantità sangue è una modalità molto diffusa tra loro, così come lo è tra le persone con diagnosi di area borderline: questi gesti autolesionistici, se da un lato sembrano in qualche modo ‘sedare’ l’ansia o l’angoscia che tali individui provano e farli sentire 'vivi', dall’altro sono comportamenti che colpiscono fortemente chi sta loro accanto e potrebbero essere interpretati come una più o meno celata e maldestra richiesta d’aiuto.


Come ogni moda giovanile (o meglio, adolescenziale) che si rispetti, l’individuo cerca di portare l’attenzione degli adulti su di sé per poi negarlo, un modo per dichiarare una netta separazione dal mondo infantile ma anche una messa in discussione di quello adulto. Nulla di insolito né di nuovo, dal momento che ci troviamo di fronte ad un comportamento dei teenager di oggi che, come quelli di ieri, nuotano in mille incertezze, tra cambiamenti psicofisici, paura del nuovo, desiderio di affermazione, nel tentativo di esprimere in forme più o meno condivise questo uragano 'emo-zionale'.