In queste ultime settimane mi
sono soffermata a riflettere, in più di un’occasione, sul concetto di omofobia.
Il tutto ha avuto inizio con un confronto tra amici in merito al nuovo Disegno
di Legge in materia, approvato alla Camera e ora al Senato. Hanno fatto poi
seguito una giornata studio organizzata dall’Ordine degli Psicologi del Lazio e
la segnalazione, da parte di un’amica, della mostra “
Nonostante sia ormai riconosciuto
a livello mondiale che l’orientamento sessuale non è una scelta e che l’omosessualità è
una variante normale della sessualità, l’avversione per i gay e le
lesbiche persiste.
…Ma l’omofobia cos’è?
L’omofobia (dal greco
όμός = stesso e φόβος = timore, paura) denota “disagio, svalutazione e
avversione, su base psicologico-individuale e/o ideologico-collettiva, nei
confronti delle persone omosessuali e dell’omosessualità stessa.” Il pensiero
omofobico sembra essere dunque radicato nel genere umano e difficile da
contrastare, sia su un piano personale che sociale/collettivo. Si riflette
nelle istituzioni e nelle strutture portanti della nostra società: nella
famiglia, nella scuola, nell'ambiente lavorativo, nella vita religiosa, nello
sport e nei mass media.
Per dirlo alla Jung sembra essere
consolidato nell’inconscio collettivo.
I sentimenti negativi, l’intolleranza
e la rabbia nei confronti di gay e lesbiche sono purtroppo all’ordine del
giorno: a volte si manifestano attraverso l’uso di un linguaggio e di slang
offensivi, altre volte si traducono in atteggiamenti e comportamenti omofobici carichi
di aggressività che caratterizzano numerosi episodi di cronaca.
Se questo panorama è già di per
sé critico, diventa ancor più inquietante se si considera che l'insulto, la
violenza psicologia e la discriminazione verso gli omosessuali vengono
tacitamente approvati e ritenuti normali anche tra gli stessi adolescenti che
in molte occasioni ritroviamo come autori di numerosi casi di bullismo
omofobico.
A questo delicato scenario si aggiunge
l’omofobia
interiorizzata, una forma subdola di omofobia che consiste
nell’interiorizzazione, più o meno inconsapevole, del pregiudizio che porta a
vivere in modo conflittuale la propria omosessualità, fino a volerla negare o
contrastare.
Possiamo ritenere che l'omofobia
diventa omofobia interiorizzata attraverso il pregiudizio, la disinformazione,
l'isolamento e la condanna sociale.
L’introiezione di un pensiero
omofobico così strutturato comporta diverse conseguenze sulla psiche della
persona omosessuale quali una scarsa accettazione e stima di sé; sentimenti
d’incertezza, inferiorità e vergogna; la credenza che l'omosessualità sia
sbagliata, sia qualcosa da negare e da nascondere; la non accettazione della
propria omosessualità perché causa di un senso di ansia, colpa, vergogna,
angoscia e tensione interiore; l’incapacità di comunicare agli altri il proprio
orientamento (coming out); la
convinzione di essere rifiutati a causa della propria omosessualità; il
convincimento di essere inadeguati e indegni di essere amati e
l’identificazione con tutti gli stereotipi denigratori derivanti dai pensieri
omofobici.
In questo senso il proprio
pregiudizio finisce per impedire la formazione di un'identità omosessuale
positiva.
È semplice dedurre come l’esperienza
di rifiuto e di oppressione possano determinare affaticamento emotivo, vissuti
depressivi e di rabbia nella cultura gay, come diretta conseguenza delle
manifestazioni del dovere essere invisibile
ma è inaccettabile che ad oggi un omosessuale debba subire anche l’influenza
omofobica e castrante dell’inconscio collettivo e sentirsi schiacciata da essa.
Dunque bisogna intervenire con campagne di sensibilizzazione, soprattutto tra i
giovanissimi, e prendere i dovuti provvedimenti per cercare di destrutturare il
pensiero omofobico sia personale che collettivo.
Dott.ssa Alessandra Paladino
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