mercoledì 25 settembre 2013

Alunni in fuga: una riflessione sulla disabilità.

Avendo da più di dieci anni esperienza con alunni disabili, rimango costantemente sintonizzata sugli avvenimenti che provengono da questo tipo di realtà. Mi riferisco, nello specifico, a due notizie che mi hanno colpita: la prima, relativa al cartello affisso in una scuola privata ischitana che recitava ‘La scuola è chiusa per tutti, perché c'è la giornata dei disabili. Sono molto malati quindi i bambini si impressionano’, la seconda relativa ad alcuni genitori che hanno deciso di ritirare 6 bambini da una scuola elementare napoletana perché in classe c’era un alunno disabile (probabilmente autistico, ma le notizie non entrano nel dettaglio).


Chi di noi non ha mai avuto un compagno di classe o di scuola disabile? Io, per fare un esempio, sono stata in banco con un ragazzo con sindrome di Down, alle elementari.
A volte la disabilità include comportamenti fastidiosi per chi la vive da vicino: aggressività, rumorosità, odori/perdite sgradevoli e quant’altro. Altre volte, la ‘anormalità’ è silenziosa, come nel caso delle disabilità di tipo cognitivo (ritardo mentale), sensoriali (sordità, cecità, sordocecità), motorie (tetraparesi, sclerosi, …). Il mondo è bello perché vario: questo vale anche per la disabilità. Non è possibile vivere una vita senza aver mai avuto vicino un disabile: ormai, da alcuni anni, anche al lavoro ci troviamo a contatto con persone disabili, dal momento che una percentuale dei posti di lavoro è loro riservata.


A volte preferiamo dimenticare le ‘disabilità’ che ognuno di noi ha o ha avuto nella propria famiglia: nonni sordi o con una demenza, zii depressi, parenti affetti da franche patologie somatiche.

Ma allora, perché privare un figlio di questo tipo di esperienza, dal momento che, prima o poi, ci si dovrà comunque incontrare? Vogliamo far credere ai bambini che la disabilità, l’imperfezione, la fragilità umane non fanno parte di questo mondo? Procedendo di questo passo rischiamo di creare noi una disabilità ai nostri figli, che poi altro non è se non la meravigliosa ‘campana di vetro’ che ci illude di proteggerli: li priviamo di esperienze basilari, come il contatto con il disagio e la sofferenza empatica che fanno parte dell’avventura umana, senza sconti per nessuno.
Senza dubbio non è semplice rispondere alle domande di un bambino ‘normale’ che entra per la prima volta in contatto con un compagno disabile; i genitori sono costretti a rispondere alle sue domande, a dare un senso a ciò che spesso risulta del tutto immotivato, ad accogliere il suo turbamento, il senso di impotenza e lo sconvolgimento che è normale provare in situazioni di questo genere. Tutto questo fa parte della vita: genitori e maestri sono deputati ad introdurre i più giovani nel mondo, con le dovute cautele, certo, ma anche con le necessarie premesse e i dovuti incontri.

Per evitare che questi incontri si tramutino in ‘scontri’ sarebbe bene che il contatto e l’integrazione abili/disabili avvenga in età precoce, in modalità condivisa anche con gli altri coetanei (esempio: facendo turnare i vari compagni di banco dell’alunno disabile) e in un clima di inclusione. E sono proprio gli adulti (docenti e genitori) che dovrebbero facilitare questo processo di inserimento e accoglienza.


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