giovedì 5 dicembre 2013

Noi, gli emo.

Dott.ssa Giorgia Aloisio



-          Ciao zi’…
-          Guarda come sei cambiata… t’avevo lasciata così… [mostra una fotografia] … e sei diventata così… Ma come sei diventata?
-          So’ diventata emo

Chi ha visto il divertente film di Carlo Verdone Io Loro e Lara (2010) sicuramente ricorderà questo spassoso 'scontro' generazionale. In realtà, dovremmo precisare che la cosiddetta ‘cultura emo’ è nata circa trent’anni prima del film, negli anni ’80, negli Stati Uniti (nello specifico, a Washington D.C.). I giovani emo (pronuncia: /ˈiːmoʊ/), ragazzi di solito tra i 15 e i 20 anni di età, si caratterizzano per i capelli corvini, più o meno lunghi, lisci e con una frangia asimmetrica davanti agli occhi, un trucco scuro tendente al nero con scarpe da ginnastica e altri accessori (che spesso raffigurano teschi o croci) dello stesso colore; un abbigliamento da ‘skater’, quindi jeans aderenti, cintura borchiata. 

Gli emo derivano il loro nome proprio dal genere musicale emo (che fa parte del punk rock) il quale, a propria volta, rappresenta l’abbreviazione del termne ‘emotional’ (emotivo). 

Bill Kaulitz dei Tokio Hotel

Appaio, dunque sono: chi è emo lo è anche nel modo di sentire, pensare, fare. Molto diffusi tra questi ragazzi sono gesti insoliti e anticonvenzionali come piangere davanti agli altri (aspetto emotivo di questa tendenza), baciare persone dello stesso sesso, procurarsi tagli con lamette da rasoio. Così come i dark e altre modalità diffuse nel mondo giovanile, anche gli emo mostrano una certa ‘attrazione’ per il macabro e il tema della morte: l’abitudine di tagliarsi o tagliuzzarsi per far uscire una certa quantità sangue è una modalità molto diffusa tra loro, così come lo è tra le persone con diagnosi di area borderline: questi gesti autolesionistici, se da un lato sembrano in qualche modo ‘sedare’ l’ansia o l’angoscia che tali individui provano e farli sentire 'vivi', dall’altro sono comportamenti che colpiscono fortemente chi sta loro accanto e potrebbero essere interpretati come una più o meno celata e maldestra richiesta d’aiuto.


Come ogni moda giovanile (o meglio, adolescenziale) che si rispetti, l’individuo cerca di portare l’attenzione degli adulti su di sé per poi negarlo, un modo per dichiarare una netta separazione dal mondo infantile ma anche una messa in discussione di quello adulto. Nulla di insolito né di nuovo, dal momento che ci troviamo di fronte ad un comportamento dei teenager di oggi che, come quelli di ieri, nuotano in mille incertezze, tra cambiamenti psicofisici, paura del nuovo, desiderio di affermazione, nel tentativo di esprimere in forme più o meno condivise questo uragano 'emo-zionale'.

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