La
richiesta di una consultazione psicologica è un momento
fondamentale, che giocherà un ruolo di primo piano sulle scelte
future del soggetto e sull’eventuale cammino psicologico.
Quando
una persona decide di consultare uno psicologo, ciò avviene perché
un vecchio equilibrio che prima funzionava, ora non regge più: il
soggetto non può più appoggiarsi a nessun tipo di appiglio e prova
la sensazione che non ci siano più vie d’uscita. La psicoterapia,
dunque, può assumere anche l’aspetto dell’ultima spiaggia, l’ultimo doloroso ed incerto tentativo di dare (forse) pace alla
propria inquietudine. A volte questo percorso ci viene suggerito da
un amico, da un familiare, altre volte dal medico curante: altre
ancora siamo noi stessi a sentirne per primi l’esigenza. La ricerca può
assumere allora diverse sfumature: ci sentiamo imbarazzati per la
nostra “insolita” richiesta, possiamo provare senso di colpa
perché forse quei problemi “non esistono, ed in ogni caso avremmo
dovuto risolverli da soli”, possiamo sentirci confusi sulla stessa
richiesta che esplicitiamo, né sappiamo con precisione cosa ci
aspetterà.
Quando
chiedo aiuto a una persona ciò significa che mi trovo in difficoltà
e che, date le mie condizioni, non ho modo di “aiutarmi da solo”:
significa riconoscere la propria impotenza, o se vogliamo la propria
non – onnipotenza di fronte alle difficoltà.
Se
ci pensiamo bene, questo ci succede quasi quotidianamente, e neanche
ce ne accorgiamo: quando ci si rompe un elettrodomestico, quando non
funziona più un utensile, quando si consuma un oggetto d’uso
comune, noi ricorriamo agli altri ed alle loro competenze,
conoscenze, abilità. Così come quando ci troviamo di fronte ad un
disturbo fisico, siamo spinti a consultare un medico specialista. Ma
la richiesta di consultazione terapeutica ci crea non pochi problemi.
Perché chiediamo aiuto per una caldaia in panne e siamo invece
ritrosi a chiedere una consulenza psicologica?
Senza
dubbio questa richiesta ha il proprio prezzo: ma è un prezzo che
presto o tardi potrà diventare un valore, un bene, una sicurezza,
una salvezza. Soprattutto un gesto positivo che facciamo nei nostri
confronti. Un gesto che ci fa capire quanto, in fondo, già ci stiamo
aiutando, perché abbiamo compreso di essere in difficoltà.
Un
percorso terapeutico può avere una durata più o meno lunga: può
durare alcuni mesi o numerosi anni. Ma questo tempo, qualunque sia la sua durata, è per noi
prezioso perché ci facilita la conoscenza di noi stessi, dei nostri
limiti ma anche delle nostre risorse, delle possibilità di cui
disponiamo e che ancora non abbiamo avuto modo di conoscere.
Quando
conosciamo noi stessi, il mondo ci fa meno paura, ed anche le scelte
più complesse, prima inconcepibili, ci sembrano pensabili, quasi
possibili, perché ne siamo responsabili ed abbiamo la forza di
sostenere il peso di queste responsabilità.
Non
sempre è sufficiente intraprendere un cammino psicologico per
emergere dal buio che ci opprime: è anche possibile che sia
necessario un consulto psichiatrico e, di conseguenza, una terapia
farmacologica da affiancare a quella psicologica. Ma non bisogna
dimenticare che in entrambi i casi stiamo “curando” la nostra
psiche ed il nostro corpo (indissolubilmente legati), quindi noi
stessi.
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